martedì 24 febbraio 2015

Decrescere per innovare: la necessità di uno sviluppo sostenibile



Secondo la definizione della politica norvegese Gro Harlem Brundtland, per “sviluppo sostenibile” s’intende "lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri".

In questa frase c’è tutto il necessario per capire. Non serve niente di più. Ma metabolizzare un concetto non significa limitarsi a leggere una frase. Significa esplorare il significato di un termine in tutte le sue sfaccettature. Per questo, tale post ha il compito di esplicare sotto tutte le sue forme il significato del termine sviluppo sostenibile.


L’attuale sfruttamento delle risorse, dei metodi di trasporto delle merci e delle produzioni di energia, non rappresentano certo uno scenario di sviluppo sostenibile. E nonostante si senta spesso parlare di energie rinnovabili, metodi di trasporto alternativi e nuove tecnologie, la realtà dei fatti è che attualmente l’economia globale ha un impatto sul nostro pianeta tutt’altro che sostenibile.


La causa di questa criticità non è da ricercarsi nelle grandi multinazionali o nelle grosse industrie, ma piuttosto nell’identità del mondo industrializzato.
Gran parte della popolazione umana, infatti, non ha accesso a una quantità di materia o energia sufficiente per il proprio sostentamento; figuriamoci a generare inquinamento. Il vero problema, dunque, è la società tecnologica; ovvero quella che detiene il monopolio del benessere.


Dacché esiste l’essere umano, gli individui della nostra specie hanno colonizzato tutte le terre a loro favorevoli generando ovunque criticità ambientali. Rispetto alla storia della Terra, che dura da più di 4,5 miliardi di anni, infatti, la storia dell’umanità ne rappresenta solo una piccola parte. E soltanto negli ultimi duecento anni, in accordo con l’inizio dell’era industriale, stiamo generando molto più inquinamento di quanto ne riusciamo a smaltire


Se la società umana non contribuirà a produrre vere politiche di sviluppo sostenibile, dunque, i veri problemi si presenteranno alle porte delle generazioni future: gli effetti più devastanti dello sfruttamento eccessivo delle risorse e dell’inquinamento, infatti, non si faranno sentire prima di qualche centinaio di anni; quanto saranno i nostri nipoti a dover pagare degli errori commessi da noi.

Detto questo, è indispensabile anche tornare con i piedi per terra. Nessuno di noi, infatti, detiene in mano l’egemonia dei problemi e delle soluzioni del mondo. Ma il passo importante da compiere, è comprendere in che misura possiamo veramente dare una mano al futuro del nostro pianeta.

Ogni essere umano presente su questo pianeta, infatti, è responsabile del futuro dello stesso.

I livelli dello sviluppo sostenibile

Non esiste una sola realtà che deve assumersi le proprie responsabilità e incentrare il proprio futuro nell’ottica dello sviluppo sostenibile. Anche se, in questo contesto, le politiche di sviluppo territoriale sono di sicuro le capoliste nella lotta allo sfruttamento eccessivo delle risorse e alle emissioni di anidride carbonica.

Tutte le istituzioni operanti nel settore del territorio, città e paesaggio, dovranno entrare scegliere di seguire strade sempre più ecologiche, sperimentando tecniche di pianificazione coerenti con i principi della sostenibilità. Così come i singoli cittadini dovranno operare piccoli sforzi quotidiani, per raggiungere l’obbiettivo comune chiamato “sostenibilità”.

Per comprendere in che modo anche noi siamo fautori dell’accrescimento dei problemi ambientali, è sufficiente guardare i nostri rifiuti. Nonostante in molti comuni d’Italia si sia cominciato a raccogliere i rifiuti tramite la differenziata, il problema della quantità è ancora presente. Parte di quello che produciamo, infatti, non può essere riciclato al 100% e l’energia utilizzata per produrre gli oggetti che quotidianamente utilizziamo, è anch’essa fonte d’insostenibilità ambientale.

Ma come si fa a produrre meno rifiuti?


La risposta a questa domanda è di dominio pubblico, e tutti sanno che acquistando meno prodotti si ottengono anche meno rifiuti. Ma oltre a questo sistema, esiste anche un modo per acquistare che però non produce un inquinamento di elevato impatto.


I prodotti che troverete su questo sito, ad esempio, sono tutti realizzati in materiali riciclabili o biodegradabili. La loro produzione e il loro utilizzo, quindi, hanno certamente un impatto ambientale molto più basso rispetto a tutti gli altri. Ma rimane la fase del trasporto.


Detto questo andiamo avanti e analizziamo quali sono i fattori che possono mettere i bastoni tra le ruote al futuro del nostro pianeta.

1 La perdita della biodiversità;
2 Lo sfruttamento eccessivo delle risorse;
3 le emissioni di CO2 con il conseguente surriscaldamento globale
4 l’inquinamento dell’aria, delle acque e delle terre;
5 l’introduzione di specie aliene nei vari territori

Tutti questi fattori giocano un ruolo importantissimo nel futuro del nostro ambiente. Se le terre non potranno più essere coltivate, allora i nostri figli non potranno più mangiare i loro frutti. Se l’aria non sarà più respirabile, allora le generazioni future non potranno più uscire di casa senza una maschera. Ma soprattutto, se la capacità della terra di rigenerare le risorse non sarà più attiva, allora ci saranno sempre più guerre e carestie. E forse un giorno, magari tra qualche migliaio di anni, sarà la terra stessa a stabilire un nuovo equilibrio, facendo scomparire la specie umana.

Ma tutto questo può ancora essere evitato; e, a dirla tutta, nel mondo si sta già facendo tanto: l’ecologia è un tema ricorrente, ma occorre fare di più.

Cambiare il proprio stile di vita, produrre meno rifiuti e spostarsi con i mezzi pubblici. Mangiare cibi biologici e scegliere di vestirsi organico. Boicottare le grandi multinazionali a favore delle piccole realtà.

Sono questi i valori a cui la nostra pigrizia deve inginocchiarsi. Ognuno di noi, infatti, è consapevole dei problemi, ma è più semplice fare finta che non ci siano. I membri stessi di MuchMoreSustainable devono costantemente rivedere le proprie abitudini. Perché anche se hai dentro la passione per l’ecologica, non è facile rinunciare a tutte le meraviglie del mondo industrializzate. Per questo motivo, dunque, lo sforzo dev’essere compiuto dalla collettività, e in piccola parta da ognuno di noi.

Produrre sviluppo sostenibile è interesse di tutti, e ne va del futuro dei nostri figli.

Una possibile soluzione in ambito energetico


Spesso i temi ecologici sono confusi con tematiche Hippie o comunque naturaliste. E per quanto alcune di esse possano essere notevolmente condivisibili, per ottenere risultati concreti per il futuro del nostro pianeta, spesso ci si deve rivolgere al sapere scientifico.

Così come per gli Zoo – che a primo acchito possono apparire come gabbie per animali, ma che in realtà partecipano ad importantissimi programmi sulla conservazione della biodiversità, come si può scoprire a questo link – anche per il nucleare, la questione ambientalista dev’essere rivista.


Aprire una centrale nucleare non è certo tutto rose a fiori. Dobbiamo prendere in considerazione milioni di fattori, ma il risparmio energetico può essere davvero un buon incentivo per cominciare a fare dei ragionamenti seri sull’argomento.


James Hansen, ricercatore dell'Earth Institute della Columbia University, ha stimato che 1,8 milioni di vite sono state salvate dall’energia prodotta da 100 reattori nucleari alimentati – in parte – dallo smantellamento di 19.000 testate atomiche russe. L’elettricità fornita da questi reattori genera il 20% del fabbisogno energetico degli USA, e produce una quantità molto bassa di emissioni di anidride carbonica.

Secondo le stime, inoltre, 20 anni di produzione energetica di queste centrali hanno evitato l’emissione nell’atmosfera di 64 miliardi di tonnellate di gas serra.

Tutto questo, naturalmente, non è la prova che il nucleare sia la soluzione a tutti i problemi che riguardano i cambiamenti climatici, ma di sicuro mostra l’importanza di questa fonte di energia. Attualmente, basta rimembrare i disastri di Chernobyl e Fukushima per rendersi conto dei rischi comportati dalle centrali nucleari, ma non è nemmeno possibile dimenticarsi degli altri dati in nostro possesso.

Al giorno d’oggi il carbone è responsabile del 50% delle emissioni di anidride carbonica del nostro pianeta, e la risposta a questa dannosa produzione di energia, non viene fornita dalle attuali tecnologie rinnovabili. Per fare fronte ad una quantità di emissioni così sfrenata, il nucleare appare come una delle poche soluzioni rimaste.

Secondo la ricerca pubblicata da Hansen e il suo gruppo di collaboratori, su PLoS One, il pianeta deve ridurre le emissioni di gas serra del 6% ogni anno per evitare problematici cambiamenti climatici; e, secondo una precedente analisi compiuta da Hansen, tra gli anni sessanta e ottanta – quanto gli Stati Uniti passarono dai combustibili fossili alla fissione nucleare – la diminuzione delle emissioni di gas serra ha raggiunto una percentuale del 2%.

Si basa su dati attendibili, quindi, il possibile valore di “sviluppo sostenibile” generato dall’utilizzo del nucleare.

Attualmente, la Cina è il principale investitore su questo tipo di energia. Il progetto attuale prevede la realizzazione di 59 impianti, di cui 29 sono già in fase di realizzazione. La peculiarità di questo paese, però, è la tecnologia su cui sta investendo: gli impianti in questione non impiegano semplici reattori formati da acqua e uranio, ma sperimentano nuove possibilità, come reattori superveloci o ad acqua pesante.

A differenza della Cina, in seguito ai grossi incidenti nucleari avvenuti negli ultimi anni, Giappone, Germania e Francia, stanno prendendo in considerazione l’idea di eliminare – o quantomeno ridurre – la loro dipendenza dal nucleare.

Nonostante le nuove tecnologie, però, il nucleare non può essere considerato una fonte di energia totalmente pulita: la fase di costruzione, la produzione dei materiali e l’arricchimento dell’uranio, richiedono comunque l’emissione di gas serra. Secondo una ricerca compiuta dal National Renewable Energy Laboratory degli Stati Uniti, tutto questo si calcola in 12 grammi di anidride carbonica emessi per chilowattora di energia prodotta (ovvero l’equivalente del valore richiesto dalle turbine eoliche).

Per quanto riguarda i costi, invece, il problema è chiaro: per generare il fabbisogno energetico degli Stati Uniti, ad esempio, sarebbe necessario realizzare 1000 nuovi impianti, e il costo stimato si dovrebbe aggirare intorno a 7000 miliardi di dollari. La soluzione potrebbe essere quella di utilizzare i piccoli reattori con schema modulare: attualmente la Tennessee Valley Authority spera di sviluppare una ricerca in quest’ambito, e se il risultato andasse a buon fine, sarebbe un ottimo passo avanti verso l’utilizzo di questa tecnologia.

In fondo, come sostiene Hansen, il nucleare appare come una delle poche alternative all’utilizzo dei combustibili fossili; e, probabilmente, se il mondo deciderà di mantenere le attuali politiche economiche, sarà l’unico modo per evitare un collasso planetario.
“gli ambientalisti devono riconoscere che indirizzare le politiche mondiali verso una soluzione energetica basata esclusivamente sulle rinnovabili non farà altro che garantire il dominio dei combustibili fossili nella produzione di energia elettrica destinata a garantire la richiesta di base, ovvero minima, dell'utenza, rendendo improbabile che possa esistere un'energia abbondante e a buon mercato e poco plausibile che i combustibili fossili vengano finalmente abbandonati”, conclude Hansen.

D’altronde è necessario fare un’ulteriore considerazione: la sostenibilità non viene determinata unicamente dalla quantità di energia pulita prodotta con le rinnovabili o con il nucleare; ma prima di tutto dalla quantità di energia richiesta. Attualmente le politiche economiche mondiali non tengono conto del benessere del nostro pianeta, e gli interessi in ballo, non fanno altro che incentivare questo sistema.

Se lo stato attuale delle cose, si spostasse in una direzione di interventi territoriali in grado di generare minore richiesta energetica, infatti, forse le rinnovabili da sole potrebbero generare tutto il fabbisogno necessario. Tutto, quindi, dovrebbe partire da una rivisitazione del sistema economico, cosicché, l’energia richiesta dai trasporti transoceanici e dalle enormi megalopoli prive di pianificazione, abbia modo di essere eliminata in maniera totale. Lo sviluppo sostenibile, dunque, nasce prima di tutto dalla pianificazione del territorio, e dalla presa di coscienza che un aragosta pescata a km 0, è più nutriente e soprattutto più sostenibile di una sua simile pescata a Tokyo e consumata in Italia.

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