sabato 14 marzo 2015

Immortalità della mente: che sia solo una questione di atomi?



Corre l’anno 2015. Per l’attuale livello tecnologico non siamo ancora in grado di sopraffare la legge mortale presente in ogni essere umano: la certezza della morte, ahimè, rimane un dato di fatto

Gli uomini, però, hanno inventato un metodo per rimandare il proprio destino affidandosi alla crionica  In pratica, esistono agenzie assicurative in grado di fornire un servizio post mortem, per il "congelamento" del corpo (o quanto meno del cervello). Le bassissime temperature consentono di conservare la struttura molecolare del cervello in modo da evitare la degradazione entropica, ovvero il deterioramento e lo smaltimento di tutte le strutture che compongono il nostro organismo. 

In questo modo, e grazie alla prospettiva di un futuro in cui la tecnica scientifica sia in grado di allungare (o addirittura rendere illimitata) la vita, si può sperare di essere “scongelati” al momento opportuno: ovvero quando potremo letteralmente essere riportati in vita

Tutto ciò, però, è ormai noto alla maggior parte delle persone e in realtà questo post non riporta niente di nuovo. Il mio tentativo, invece, è quello di fornire una semplice riflessione di natura logica su quanto appena detto. 

Il dibattito spesso ricade sul “se sia davvero possibile giungere ad un livello tecnologico in grado di riportare gli uomini in vita, o addirittura di rendere la vita illimitata”. 

Dal mio punto di vista, questo punto, ormai largamente discusso, ha già trovato una risposta largamente condivisa: sì, è senz’altro possibile raggiungere tale “singolarità”. Ma ciò non è sufficiente a chiarire ogni dubbio riguardo questo argomento. 

La questione davvero complessa su cui vorrei riflettere, infatti, riguarda la riproduzione della nostra struttura atomica. 



Una delle tecniche più discusse, riguardo alla tecnologia in grado di rendere l’essere umano “immortale” è il mind updating. In pratica si tratta di un sistema, per il momento ideologico, in grado di riportare la struttura atomica del cervello umano, all'interno di un “disco fisso”. Sarebbe proprio come mettere le informazioni della nostra mente, all'interno di un computer.

Un giorno, tutto questo potrebbe davvero essere possibile. Ma il problema è un altro. Dove si trova, infatti, la nostra coscienza. 

Ovvero: trasportando la struttura atomica del nostro cervello all’interno di un altro spazio, potremo davvero riprodurre la coscienza? 

Un mio carissimo professore delle superiori, con cui per altro conservo ancora un ottimo rapporto di amicizia, una volta scrisse un articolo molto interessante riguardo alla coscienza. Secondo quanto riportato in questo articolo, le proteine che compongono la nostra struttura celebrale, si dovrebbero rigenerare completamente nell’arco di un periodo di tempo molto limitato (si parla comunque di giorni e non di mesi). Il nostro cervello, quindi, si rinnova costantemente. La coscienza, però, continua a esistere imperterrita. 

Quello che mi chiedo allora è: la nostra coscienza scaturisce davvero dalla struttura atomica dei nostri atomi? 

Se proprio devo dire la mia, dico di sì. Anche se mi dispiace un po’ che si tutto così semplice. 

Voi che ne pensate?

martedì 3 marzo 2015

"Perché non sperimentiamo la nostra morte?" - Un dibattito dal mondo quantistico


Nero su bianco una speculazione su scienza e filosofia. 

La morte è un dato di fatto: lo sperimentiamo ogni giorno guardando la tv, leggendo il giornale o, nei giorni più sfortunati, apprendendo della scomparsa di un nostro caro. La morte dunque fa parte di questo mondo. Esiste nella nostra mente come una proiezione assiomatica dell'esperienza che viviamo. 

Ma qualcuno di noi ha realmente sperimentato la morte? 

Se stai leggendo questa frase probabilmente sarai ancora vivo e quindi non potrai avere la certezza assoluta che la tua morte sia una componete essenziale della tua esistenza. Non è una questione metafisica o filosofica, ma prettamente scientifica. 

La scienza, infatti, si basa sul metodo scientifico: osservazione, intuizione, esperimento, risultato. Se anche un solo esperimento si farà contrario all’intuizione, allora quest’ultima sarà errata. Nel caso della morte, però, il metodo empirico è sicuramente di gran lunga approvato, ma non tiene di conto di una più ampia interpretazione della realtà. 

Osservare le persone morire, infatti, è perfettamente coerente con questa tesi. Poiché l’unica morte a non essere osservata è proprio quella personale. Quanto descritto di seguito, dunque, si riferisce solo al punto di vista dell’osservatore oggetto dell’esperimento (ovvero sé stessi). 

Esperimento mentale: 

Poniti come osservatore al posto del gatto di Schrodinger (se non conosci questo tipo di esperimento, leggi qui). Mentre al posto della fiala di cianuro immagina una pistola puntata verso di te. 
Ora, se la giusta interpretazione della meccanica quantistica fosse quella dei molti mondi (per saperne di più leggi qui), le probabilità di morte o vita prenderebbero forma entrambe. Cosicché ogni volta che la pistola esplode il proprio colpo, non avresti coscienza di quel mondo, mentre il tuo percorso di vita continuerebbe solo nel mondo in cui sei ancora vivo. In questo caso tu potresti sperimentare soltanto il mondo in cui la tua coscienza continua ad esistere, poiché dell'altro non ne avresti consapevolezza. Cosicché la strada che saresti destinato a percorrere nella tua esistenza, è esattamente quella delle migliori probabilità di sopravvivenza. 

Ora, ipotizzando che l'esperimento sia perpetuo, allora potresti vivere tutte le possibili interazioni favorevoli, ma solo finché il tuo corpo non raggiungerà un punto in cui l'entropia sarà massima: in quel momento, infatti, la morte sarebbe inevitabile

Così come il principio di minima azione afferma che ogni cosa in natura segue la strada più breve e più semplice, così l’unica strada seguita dall’essere umano è quella della sopravvivenza fino a morte entropica. 



Ma allora perché vediamo le persone morire prima della fine entropica?

La questione dell’esperienza della morte delle altre persone, si risolve nel modo seguente.
Nel personale percorso di vita, la strada percorsa dalla propria coscienza è quella con più probabilità di sopravvivenza. Il congiungersi degli eventi determinati dalle infinite probabilità, e degli infiniti mondi, fa sì che ognuno di noi sperimenti più volte la morte della altre persone. Ciò, però, non significa che le altre persone siano morte nel loro percorso di vita. Come precedentemente affermato, infatti, la strada della coscienza personale percorre sempre la via della vita.

Paradossalmente, dunque, se quanto detto fosse vero, allora l’unico modo per morire sarebbe la degradazione entropica: ognuno di noi, pertanto, morirebbe solo alla fine della propria esistenza. 

Che quanto detto sia una speculazione, non ci sono dubbi. Che sia perfettamente coerente con le attuali conoscenze scientifiche, lo è altrettanto. 

Ma un vero fiducista, potrebbe persino compiere un ulteriore passo in avanti: la teoria è coerente con le mie ipotesi, io sono la struttura autocosciente e analizzo il tutto tramite la mia struttura mentale, pertanto la mia verità è in ME assoluta. 



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Ti prego di condividere e commentare l’articolo. In questo modo potremo creare una vera discussione sull’argomento, per evitare che la mia verità sia l’unica esposta: gli altri punti di vista sono la mia vera fonte d’ispirazione. 



Un libro consigliato come introduzione alla meccanica quantistica di Robert Gilmore


venerdì 27 febbraio 2015

Che sia la matematica ad aver creato il mondo?




Spesso il mondo si divide tra diverse fazioni. Non tutti hanno la stessa opinione sui vari argomenti, e questo talvolta causa incomprensioni e mancanza di rispetto. 

Faccio questa riflessione con il massimo del rispetto. Senza asce da guerra, né volontà di offendere nessuno. Poiché se scavi a fondo nel rapporto tra esseri umani, spesso capisci che anche nelle diversità ci possiamo comprendere e rispettare. 

In fondo, pubblico questo post per porre uno spunto di riflessione, che non è la verità assoluta. È la mia verità.

Detto questo, possiamo cominciare. 

Spazio e tempo sono nati 13,7 miliardi di anni fa, in seguito ad una singolarità chiamata molto banalmente “big bang”. 

Come lo sappiamo? Semplicemente grazie all’osservazione. 

Analizzando la lunghezza d’onda delle onde elettromagnetiche inviate dalle stelle, infatti, è possibile osservare la loro velocità di spostamento e soprattutto la direzione nella quale si spostano. Anni di analisi hanno portato alla comprensione del fatto che l’intera massa presente nell’universo (tranne i gruppi locali controbilanciati dalla propria forza gravitazionale) è in espansione. 

Percorrendo a ritroso la storia di questi spostamenti, gli addetti ai lavori, hanno scoperto che proprio 13,7 miliardi di anni fa, tutta la materia e l’energia era raggruppata in un punto infinitamente piccolo chiamato “singolarità”. 

Cos’è questa singolarità? Dio per alcuni, una fluttuazione quantistica per altri. 



Su quest’argomento sono stati scritti centinaia di testi e la letteratura scientifica è pregna di tesi più o meno fantascientifiche sul significato di questa singolarità. 

Ma le vera domande sono: come sono nate l’energia e la massa? Da chi o da cosa sono state generate?

L’assenza di una risposta certa a queste domande è in qualche modo la chiave di volta che tiene in piedi tutte le religioni. Anche dal mio punto di vista, infatti, quanto cerco di riflettere a fondo su questi temi, scopro un’enorme plausibilità nel valutare un intervento divino che abbia in qualche modo dato “avvio alla giostra”. 

Tuttavia, una delle ipotesi più conclamate sull’argomento, afferma che una fluttuazione quantistica del vuoto possa aver generato la scintilla in grado di dare origine al tutto. 

Per i neofiti, una fluttuazione quantistica è un’oscillazione di potenziale energetico in grado di generare la nascita di due particelle virtuali che si annichilano a vicenda. 

In pratica, in virtù del Principio di Indeterminazione di Heisenberg, il quale afferma che non sia possibile conoscere contemporaneamente velocità e posizione di una particella elementare, un campo energetico con un punto di potenziale 0 permetterebbe la nascita di qualcosa dal nulla. Ciò avviene grazie all’assenza delle condizioni richieste dal principio di indeterminazione: un punto di potenziale 0 possiede un’energia pari a 0. Ciò significa, che per l’equivalenza energia-massa definita da Einstein, un’energia pari a zero corrisponde ad una massa definita pari a zero: ovvero una particella elementare energeticamente nulla e di posizione definita. Come espresso precedentemente, inoltre, queste due condizioni non possono avvenire contemporaneamente, cosicché la nascita di due particelle virtuali si rende inevitabile (vedi effetto Casimir). 

Ora, visto che dal nulla si più generare qualcosa, ecco che la nascita e lo scoppio del Big Bang non è più un mistero per la fisica, ma esiste una teoria in grado di spiegare proprio l’attimo in cui tutto è stato generato.

Detto questo, ritengo che il problema dell’essere umano moderno, non sia tanto la ricerca di un modello fisico in grado di spiegare la nascita e l’origine del tutto, quanto un dibattito filosofico sull’esistenza della legge fisica. 

Sì, perché ormai l’unica cosa rimasta da creare da parte del Creatore, è proprio la legge fisica, che in realtà non esiste in maniera concreta, ma soltanto come modello matematico. 

Che sia dunque la matematica ad aver creato il mondo? 


P.S. se ti è piaciuto il post, ti prego di condividerlo con altre persone.

P.S.2 I tuoi commenti, positivi o negativi, mi farebbero davvero piacere. Se hai qualcosa da dire, sei il benvenuto.

Libri consigliati per approfondire.





giovedì 26 febbraio 2015

Biodiversità: la strana contraddizione degli Zoo


La biodiversità è il modo in cui la natura riesce a trasformare la staticità in dinamismo; e la materia inerme in vita.
Il valore della biodiversità è assoluto: non esiste un parametro naturale che ricopra un ruolo altrettanto importante. La natura, infatti, è un complesso insieme di elementi e interazioni che tendono a raggiungere un equilibrio dinamico, il quale si realizza soltanto tramite l’enorme complessità della biodiversità terrestre.
Dai germi alle mandrie di gnu. Dalle aquile che spiccano il volo alle api che proteggono la regina. Ogni essere vivente sul nostro pianeta è estremamente importante per la sopravvivenza degli altri. Ogni individuo fa parte di una fitta di rete d’interazioni, senza le quali tutti gli elementi non potrebbero esistere.
L’equilibrio naturale, come se non bastasse, esercita una pressione sempre maggiore sul ruolo dell’evoluzione: é come se la natura tendesse a raffinare sempre più la sua capacità di concepirsi e osservarsi. E il suo scopo ultimo è la sopravvivenza e la duplicazione di organismi sempre più complessi e sempre più in grado di auto-comprendersi.

In questi termini, la biodiversità non assume solo il ruolo di capilista nell’accrescimento dell’evoluzione, ma nel funzionamento stesso del sistema. Ogni organismo, infatti, è strettamente dipendente dagli altri in misura tale da determinare la sopravvivenza o meno di tutto l’ecosistema. La diversità genetica, inoltre, permette di creare un circolo di flussi energetici e di circoli di materia, in grado di fare girare la grande giostra della vita.
Conservare la biodiversità, dunque, non è importante solo per la sopravvivenza delle varie specie, ma è direttamente connesso alla sopravvivenza della nostra, di specie.



Il ruolo della biodiversità


L’ecosistema è l’insieme di elementi e interazioni che avvengono tra la materia biotica e quella abiotica. Esso si trova in perenne equilibrio dinamico, e attraverso meccanismi di retroazione e feedback tende continuamente a ritrovare la rotta di tendenza. Se la quantità di alcune componenti tendono a eccedere rispetto alle altre, il sistema tende a ritrovare la rotta di partenza modificando l’ingresso e l’uscita di flussi di energia e circoli di materia.
Biodiversità
Per quanto riguarda i fattori biotici, l’energia che arriva sulla terra sotto forma di radiazione elettromagnetica viene utilizzata e trasmessa in tutti i livelli trof
ici. Inizialmente le piante, tramite la fotosintesi clorofilliana, utilizzano l’energia solare per convertire anidride carbonica e ossigeno in una molecola di glucosio, essenziale per il proprio sostentamento (il sottoprodotto della reazione sono sei molecole di ossigeno, fondamentali per la vita di molte specie, tra cui l’uomo). Successivamente, gli erbivori convertono la massa delle specie vegetali in cibo per sé stessi, cosicché l’energia inizialmente prodotta dalle reazioni termonucleari del Sole viene convertita, utilizzata e trasmessa tra i due livelli. In un secondo momento l’energia passerà ai carnivori che mangiano gli erbivori, e infine ai carnivori che mangiano i carnivori. Dopodiché, una volta deceduti, tutti gli animali verranno decomposti dai decompositori, che rimetteranno l’energia in circolo nel sistema.

Ora, considerando che anche l’essere umano fa parte della catena alimentare (nonostante la riesca a modellare - spesso maldestramente - ), la rottura degli equilibri generati dall’enorme varietà genetica che compone l’ecosistema terreste, può produrre notevoli criticità anche alla nostra specie.
La ricerca delle cause che determinano la perdita della biodiversità, non sono molto nascoste: l’inquinamento, i cambiamenti climatici, l’introduzione di specie aliene ai vari territori e lo sfruttamento intensivo delle risorse e la perdita degli habitat, sono tutti fattori che determinano la perdita della biodiversità.
Come già detto, inoltre, questa perdita può determinare grossi squilibri nell’ecosistema terrestre, e può anche causare notevoli danni alla nostra esistenza.
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Una piccola soluzione: la conservazione ex situ


Molto spesso i progetti di salvaguardia delle specie a rischio effettuati in situ non sono sufficienti per limitare il pericolo di estinzione. A questi progetti, dunque, le organizzazioni internazionali che operano nel settore, stanno lavorando da anni a progetti di conservazione ex situ.
Qualsiasi associazione zoologica non ricopre solo il ruolo - peraltro potenzialmente non condivisibile - di esporre diverse specie animali al pubblico, ma suoi veri obiettivi sono la salvaguardia, la ricerca e la sensibilizzazione nei confronti delle più attuali questioni ecologiche. Ma per ottenere questi risultati, ovviamente, l’architettura e la gestione paesaggistica dei parchi, devono rispondere a determinati livelli qualitativi. Laddove il cemento prende il sopravvento sulla naturalità degli ambienti, non può esservi sensibilizzazione dei visitatori nei confronti dei temi naturali. Anzi, il messaggio che arriva al visitatore, è opposto a quello che dev’essere espresso.
Il senso che dev’essere trasmesso tramite i Giardini Zoologici, è certamente un messaggio anti-antropocentrico; e, dato che - almeno in parte - la frase precedente esprime un paradosso, il tema su cui devono essere riposte le migliori attenzioni è certamente il benessere degli animali.
Per esprimere al meglio questi concetti, però, è necessario fare una breve premessa. In ogni caso non è mai bello limitare la libertà a nessun essere vivente, e il principio base da cui nasce la mentalità opposta all’antropocentrismo è proprio quello espresso attraverso la centralità naturale, a cui non corrisponde una piramide d’importanza, ma in cui ogni specie ha la stessa rilevanza delle altre. Detto questo, però, è sempre necessario sottolineare, per non rischiare di cadere nell’ipocrisia, che ogni cosa possiede una diversa valenza. Un batterio ha certamente meno importanza di un uomo, e sfidiamo chiunque, dunque, a sacrificare una persona per la salvezza di tale organismo unicellulare. È altrettanto vero, però, che senza i batteri non esisterebbero i cicli naturali di azoto che permettono la nostra sopravvivenza. La tutela di ogni specie animale presente nel nostro pianeta, dunque, dev’essere una priorità, ma per farla diventare tale sono necessarie delle prerogative fondamentali: la ricerca, la sensibilizzazione, e la conservazione. Quest’ultime possono essere eseguite all’interno degli Zoo, i quali, in ogni caso, dovranno tendere ad una sempre maggiore predisposizione da accogliere gli animali nel massimo del benessere, fisiologico e psicologico.
Nel mondo moderno, purtroppo, troppe cause rischiano di far scomparire molte specie di fondamentale importanza per la salvezza della biodiversità. A questi problemi dobbiamo trovare delle soluzioni, anche se nell’immediato potranno far discutere, ma che nel lungo periodo, se assisteremo ad un cambiamento radicale nelle politiche economiche mondiali, potranno anche essere totalmente rivisitate. In futuro in cui l’uomo imparerà a comprendere il proprio posto nella natura, quindi, i Giardini Zoologici potrebbero anche scomparire, ma attualmente essi sono una necessità, sia per il benessere della natura che della biodiversità stessa. Uno Zoo, infatti, può non essere solo una prigione di animali, ma piuttosto un luogo in cui le loro condizioni naturali sono fedelmente riprodotte, e attraverso cui la salvaguardia di ogni specie assume un ruolo di fondamentale importanza.
È in questo contesto, dunque, che noi di MuchMoreSustainable riteniamo che il Bioparco, sia il metodo migliore per aiutare la diffusione del messaggio di sensibilizzazione che dev’essere trasmesso. 1
Non sei d’accordo sul ruolo degli Zoo nella salvezza della biodiversità? Pensi che ci possano essere altri modi per tutelare la diversità genetica senza dover conservare gli animali ex situ? Fammi sapere come la pensi mandando una mail al mio indirizzo. Avrai una spendida sorpresa..

Programmi europei per la conservazione della biodiversità

EAZA
L’associazione europea EAZA (European Association of zoos and Aquaria
), si pone come obbiettivo quello facilitare la coordinazione degli Zoo e degli acquari europei, tendendo a rafforzare la qualità professionale della custodia degli animali e della loro presentazione al pubblico. Inoltre EAZA si prefigge l’obbiettivo di contribuire alla ricerca scientifica e alla conservazione della biodiversità globale. Per raggiungere questi obbiettivi l’EAZA intende operare attraverso la stimolazione, la semplificazione e il coordinamento degli sforzi della comunità nella ricerca scientifica, nella conservazione e nella educazione, attraverso il rafforzamento della cooperazione delle organizzazioni interessate, e influenzando la legislazione pertinente all’interno della Unione Europea.
In pratica l’EAZA intende organizzare le operazioni di cooperazione tra le varie organizzazione, così da fornire un punto d’appoggio in grado di semplificare tutti i processi.

1 Andrea Tasselli, “Zooplanning: riqualifiaczione del Giardino Zoologico di Pistoia attraverso l’analisi, la pianificazione e la progettazione paesaggistica”, Università degli Studi di Firenze, 2013.

martedì 24 febbraio 2015

Decrescere per innovare: la necessità di uno sviluppo sostenibile



Secondo la definizione della politica norvegese Gro Harlem Brundtland, per “sviluppo sostenibile” s’intende "lo sviluppo che è in grado di soddisfare i bisogni delle generazioni attuali senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri".

In questa frase c’è tutto il necessario per capire. Non serve niente di più. Ma metabolizzare un concetto non significa limitarsi a leggere una frase. Significa esplorare il significato di un termine in tutte le sue sfaccettature. Per questo, tale post ha il compito di esplicare sotto tutte le sue forme il significato del termine sviluppo sostenibile.


L’attuale sfruttamento delle risorse, dei metodi di trasporto delle merci e delle produzioni di energia, non rappresentano certo uno scenario di sviluppo sostenibile. E nonostante si senta spesso parlare di energie rinnovabili, metodi di trasporto alternativi e nuove tecnologie, la realtà dei fatti è che attualmente l’economia globale ha un impatto sul nostro pianeta tutt’altro che sostenibile.


La causa di questa criticità non è da ricercarsi nelle grandi multinazionali o nelle grosse industrie, ma piuttosto nell’identità del mondo industrializzato.
Gran parte della popolazione umana, infatti, non ha accesso a una quantità di materia o energia sufficiente per il proprio sostentamento; figuriamoci a generare inquinamento. Il vero problema, dunque, è la società tecnologica; ovvero quella che detiene il monopolio del benessere.


Dacché esiste l’essere umano, gli individui della nostra specie hanno colonizzato tutte le terre a loro favorevoli generando ovunque criticità ambientali. Rispetto alla storia della Terra, che dura da più di 4,5 miliardi di anni, infatti, la storia dell’umanità ne rappresenta solo una piccola parte. E soltanto negli ultimi duecento anni, in accordo con l’inizio dell’era industriale, stiamo generando molto più inquinamento di quanto ne riusciamo a smaltire


Se la società umana non contribuirà a produrre vere politiche di sviluppo sostenibile, dunque, i veri problemi si presenteranno alle porte delle generazioni future: gli effetti più devastanti dello sfruttamento eccessivo delle risorse e dell’inquinamento, infatti, non si faranno sentire prima di qualche centinaio di anni; quanto saranno i nostri nipoti a dover pagare degli errori commessi da noi.

Detto questo, è indispensabile anche tornare con i piedi per terra. Nessuno di noi, infatti, detiene in mano l’egemonia dei problemi e delle soluzioni del mondo. Ma il passo importante da compiere, è comprendere in che misura possiamo veramente dare una mano al futuro del nostro pianeta.

Ogni essere umano presente su questo pianeta, infatti, è responsabile del futuro dello stesso.

I livelli dello sviluppo sostenibile

Non esiste una sola realtà che deve assumersi le proprie responsabilità e incentrare il proprio futuro nell’ottica dello sviluppo sostenibile. Anche se, in questo contesto, le politiche di sviluppo territoriale sono di sicuro le capoliste nella lotta allo sfruttamento eccessivo delle risorse e alle emissioni di anidride carbonica.

Tutte le istituzioni operanti nel settore del territorio, città e paesaggio, dovranno entrare scegliere di seguire strade sempre più ecologiche, sperimentando tecniche di pianificazione coerenti con i principi della sostenibilità. Così come i singoli cittadini dovranno operare piccoli sforzi quotidiani, per raggiungere l’obbiettivo comune chiamato “sostenibilità”.

Per comprendere in che modo anche noi siamo fautori dell’accrescimento dei problemi ambientali, è sufficiente guardare i nostri rifiuti. Nonostante in molti comuni d’Italia si sia cominciato a raccogliere i rifiuti tramite la differenziata, il problema della quantità è ancora presente. Parte di quello che produciamo, infatti, non può essere riciclato al 100% e l’energia utilizzata per produrre gli oggetti che quotidianamente utilizziamo, è anch’essa fonte d’insostenibilità ambientale.

Ma come si fa a produrre meno rifiuti?


La risposta a questa domanda è di dominio pubblico, e tutti sanno che acquistando meno prodotti si ottengono anche meno rifiuti. Ma oltre a questo sistema, esiste anche un modo per acquistare che però non produce un inquinamento di elevato impatto.


I prodotti che troverete su questo sito, ad esempio, sono tutti realizzati in materiali riciclabili o biodegradabili. La loro produzione e il loro utilizzo, quindi, hanno certamente un impatto ambientale molto più basso rispetto a tutti gli altri. Ma rimane la fase del trasporto.


Detto questo andiamo avanti e analizziamo quali sono i fattori che possono mettere i bastoni tra le ruote al futuro del nostro pianeta.

1 La perdita della biodiversità;
2 Lo sfruttamento eccessivo delle risorse;
3 le emissioni di CO2 con il conseguente surriscaldamento globale
4 l’inquinamento dell’aria, delle acque e delle terre;
5 l’introduzione di specie aliene nei vari territori

Tutti questi fattori giocano un ruolo importantissimo nel futuro del nostro ambiente. Se le terre non potranno più essere coltivate, allora i nostri figli non potranno più mangiare i loro frutti. Se l’aria non sarà più respirabile, allora le generazioni future non potranno più uscire di casa senza una maschera. Ma soprattutto, se la capacità della terra di rigenerare le risorse non sarà più attiva, allora ci saranno sempre più guerre e carestie. E forse un giorno, magari tra qualche migliaio di anni, sarà la terra stessa a stabilire un nuovo equilibrio, facendo scomparire la specie umana.

Ma tutto questo può ancora essere evitato; e, a dirla tutta, nel mondo si sta già facendo tanto: l’ecologia è un tema ricorrente, ma occorre fare di più.

Cambiare il proprio stile di vita, produrre meno rifiuti e spostarsi con i mezzi pubblici. Mangiare cibi biologici e scegliere di vestirsi organico. Boicottare le grandi multinazionali a favore delle piccole realtà.

Sono questi i valori a cui la nostra pigrizia deve inginocchiarsi. Ognuno di noi, infatti, è consapevole dei problemi, ma è più semplice fare finta che non ci siano. I membri stessi di MuchMoreSustainable devono costantemente rivedere le proprie abitudini. Perché anche se hai dentro la passione per l’ecologica, non è facile rinunciare a tutte le meraviglie del mondo industrializzate. Per questo motivo, dunque, lo sforzo dev’essere compiuto dalla collettività, e in piccola parta da ognuno di noi.

Produrre sviluppo sostenibile è interesse di tutti, e ne va del futuro dei nostri figli.

Una possibile soluzione in ambito energetico


Spesso i temi ecologici sono confusi con tematiche Hippie o comunque naturaliste. E per quanto alcune di esse possano essere notevolmente condivisibili, per ottenere risultati concreti per il futuro del nostro pianeta, spesso ci si deve rivolgere al sapere scientifico.

Così come per gli Zoo – che a primo acchito possono apparire come gabbie per animali, ma che in realtà partecipano ad importantissimi programmi sulla conservazione della biodiversità, come si può scoprire a questo link – anche per il nucleare, la questione ambientalista dev’essere rivista.


Aprire una centrale nucleare non è certo tutto rose a fiori. Dobbiamo prendere in considerazione milioni di fattori, ma il risparmio energetico può essere davvero un buon incentivo per cominciare a fare dei ragionamenti seri sull’argomento.


James Hansen, ricercatore dell'Earth Institute della Columbia University, ha stimato che 1,8 milioni di vite sono state salvate dall’energia prodotta da 100 reattori nucleari alimentati – in parte – dallo smantellamento di 19.000 testate atomiche russe. L’elettricità fornita da questi reattori genera il 20% del fabbisogno energetico degli USA, e produce una quantità molto bassa di emissioni di anidride carbonica.

Secondo le stime, inoltre, 20 anni di produzione energetica di queste centrali hanno evitato l’emissione nell’atmosfera di 64 miliardi di tonnellate di gas serra.

Tutto questo, naturalmente, non è la prova che il nucleare sia la soluzione a tutti i problemi che riguardano i cambiamenti climatici, ma di sicuro mostra l’importanza di questa fonte di energia. Attualmente, basta rimembrare i disastri di Chernobyl e Fukushima per rendersi conto dei rischi comportati dalle centrali nucleari, ma non è nemmeno possibile dimenticarsi degli altri dati in nostro possesso.

Al giorno d’oggi il carbone è responsabile del 50% delle emissioni di anidride carbonica del nostro pianeta, e la risposta a questa dannosa produzione di energia, non viene fornita dalle attuali tecnologie rinnovabili. Per fare fronte ad una quantità di emissioni così sfrenata, il nucleare appare come una delle poche soluzioni rimaste.

Secondo la ricerca pubblicata da Hansen e il suo gruppo di collaboratori, su PLoS One, il pianeta deve ridurre le emissioni di gas serra del 6% ogni anno per evitare problematici cambiamenti climatici; e, secondo una precedente analisi compiuta da Hansen, tra gli anni sessanta e ottanta – quanto gli Stati Uniti passarono dai combustibili fossili alla fissione nucleare – la diminuzione delle emissioni di gas serra ha raggiunto una percentuale del 2%.

Si basa su dati attendibili, quindi, il possibile valore di “sviluppo sostenibile” generato dall’utilizzo del nucleare.

Attualmente, la Cina è il principale investitore su questo tipo di energia. Il progetto attuale prevede la realizzazione di 59 impianti, di cui 29 sono già in fase di realizzazione. La peculiarità di questo paese, però, è la tecnologia su cui sta investendo: gli impianti in questione non impiegano semplici reattori formati da acqua e uranio, ma sperimentano nuove possibilità, come reattori superveloci o ad acqua pesante.

A differenza della Cina, in seguito ai grossi incidenti nucleari avvenuti negli ultimi anni, Giappone, Germania e Francia, stanno prendendo in considerazione l’idea di eliminare – o quantomeno ridurre – la loro dipendenza dal nucleare.

Nonostante le nuove tecnologie, però, il nucleare non può essere considerato una fonte di energia totalmente pulita: la fase di costruzione, la produzione dei materiali e l’arricchimento dell’uranio, richiedono comunque l’emissione di gas serra. Secondo una ricerca compiuta dal National Renewable Energy Laboratory degli Stati Uniti, tutto questo si calcola in 12 grammi di anidride carbonica emessi per chilowattora di energia prodotta (ovvero l’equivalente del valore richiesto dalle turbine eoliche).

Per quanto riguarda i costi, invece, il problema è chiaro: per generare il fabbisogno energetico degli Stati Uniti, ad esempio, sarebbe necessario realizzare 1000 nuovi impianti, e il costo stimato si dovrebbe aggirare intorno a 7000 miliardi di dollari. La soluzione potrebbe essere quella di utilizzare i piccoli reattori con schema modulare: attualmente la Tennessee Valley Authority spera di sviluppare una ricerca in quest’ambito, e se il risultato andasse a buon fine, sarebbe un ottimo passo avanti verso l’utilizzo di questa tecnologia.

In fondo, come sostiene Hansen, il nucleare appare come una delle poche alternative all’utilizzo dei combustibili fossili; e, probabilmente, se il mondo deciderà di mantenere le attuali politiche economiche, sarà l’unico modo per evitare un collasso planetario.
“gli ambientalisti devono riconoscere che indirizzare le politiche mondiali verso una soluzione energetica basata esclusivamente sulle rinnovabili non farà altro che garantire il dominio dei combustibili fossili nella produzione di energia elettrica destinata a garantire la richiesta di base, ovvero minima, dell'utenza, rendendo improbabile che possa esistere un'energia abbondante e a buon mercato e poco plausibile che i combustibili fossili vengano finalmente abbandonati”, conclude Hansen.

D’altronde è necessario fare un’ulteriore considerazione: la sostenibilità non viene determinata unicamente dalla quantità di energia pulita prodotta con le rinnovabili o con il nucleare; ma prima di tutto dalla quantità di energia richiesta. Attualmente le politiche economiche mondiali non tengono conto del benessere del nostro pianeta, e gli interessi in ballo, non fanno altro che incentivare questo sistema.

Se lo stato attuale delle cose, si spostasse in una direzione di interventi territoriali in grado di generare minore richiesta energetica, infatti, forse le rinnovabili da sole potrebbero generare tutto il fabbisogno necessario. Tutto, quindi, dovrebbe partire da una rivisitazione del sistema economico, cosicché, l’energia richiesta dai trasporti transoceanici e dalle enormi megalopoli prive di pianificazione, abbia modo di essere eliminata in maniera totale. Lo sviluppo sostenibile, dunque, nasce prima di tutto dalla pianificazione del territorio, e dalla presa di coscienza che un aragosta pescata a km 0, è più nutriente e soprattutto più sostenibile di una sua simile pescata a Tokyo e consumata in Italia.